Alcune persone hanno posto in dubbio che la mortificazione
volontaria non si trovi nelle parole di Gesù dei Vangeli. Una piccola premessa,
non strettamente necessaria in questo caso, è quella che riguarda la
comprensione della Parola di Dio, che per un cattolico non è né con la sola
esegesi del Vangelo, né con la sua libera interpretazione (ma con
l’interpretazione data dal Magistero di tutta la Sacra Scrittura e la
Tradizione).
La predicazione di Gesù si svolge in continuità con quello che era
insegnato nella “Legge e nei Profeti” dove si parla abbondantemente di digiuni
e sacrifici ed anche San Giovanni Battista aveva una vita ben austera, tanto da
essere elogiato da Gesù come il più grande tra i nati di donna (Cfr Mt 3,4; Mt
11,7-18). Gesù stesso parla di penitenza e si lamenta che le città dove ha
predicato non l’abbiano fatta (Cfr Mt 11, 21).
Gesù ha fatto precedere il suo ministero pubblico da quaranta
giorni e quaranta notti di digiuno (Cfr Mt 4,2) e, dopo aver annunciato le
beatitudini (Cfr Mt 5,3-10) invita a “praticare opere buone” (non per essere
ammirati) e tra queste opere buone ci sono l’elemosina (Cfr Mt 6,3-4) e il
digiuno (Cfr Mt 6,16-18). Riguardo all’elemosina, il suo valore non dipende
tanto dai benefici ottenuti da chi la riceve, ma dalla disposizione di chi la
fa (Cfr Lc 21,2-4). E il digiuno, anche se poco praticato con Lui, Gesù dice
che i suoi discepoli lo faranno (Cfr Mt 9,14-15).
Gesù invita a praticare il distacco per essere liberi da affanni e
preoccupazioni (Cfr. Mt 6,25-34; Mt 13,20-22); di essere disposti alla rinuncia
per non peccare e dare scandalo (Cfr. Mt 5,29-30; Mt 7,13-14) e a chi lo segue
più da vicino chiede di lasciare tutto (Cfr. Mc 6,8; Mt 10,37-39; Mt 19,21).
Nell’esercizio della carità verso gli altri si deve saper soffrire
(Cfr. Mt 5,40-42; Mt 25,31-46; Lc 14, 12-14), non pensando se mi va, se me la
sento o se quelli a cui faccio del bene cambieranno, mi ringrazieranno o
smetteranno di farmi del male (Cfr Mt 5,11-12).
Digiuno, elemosine, distacco e sacrifici che cosa sono, se non
mortificazioni volontarie? Certamente queste cose non bastano da sole per
salvarsi, né tanto meno servono per inorgoglirsi e sentirsi superiori agli
altri (Cfr. Lc 18,9-14).
Perché Gesù ci invita a soffrire fame e sete (digiuno)? Perché ci
invita a privarci di qualcosa che ci serve (elemosina e distacco)? Perché ci
invita a soffrire, sopportando maltrattamenti e ingiurie, anche se gli altri
non se ne accorgono o le fraintendono e non cambieranno? Il suo comandamento
principale è di amare Dio e il prossimo, e di amarci come Lui ci ha amato (con
la forza dell’inabitazione della Trinità in noi), ma sa anche che nel mondo
bisogna saper affrontare la sofferenza, conseguenza del male, che Lui ha vinto
(Cfr Lc 14,27.33; Gv 15,18-20; Gv 16,33).
Questo vuol forse dire che Gesù invita a soffrire il più
possibile? No, ma se non si è disposti ad affrontare la sofferenza con Gesù,
non sapremo neanche amare né Dio, né il prossimo. Le mortificazioni volontarie
non sono un fine, ma sono un mezzo necessario che richiede una giusta
moderazione.
La riflessione sulle pratiche penitenziali, la mortificazione ed
il mistero della sofferenza fatta nel corso dei secoli dal Magistero della
Chiesa, sulla base anche della testimonianza, tra gli altri, degli Atti degli
Apostoli (Cfr At 13,2-3) e delle Lettere da San Paolo, può essere ben riassunta
da questo passo della “Salvifici Doloris”:
“[…] La redenzione, operata in forza dell'amore soddisfattorio,
rimane costantemente aperta ad ogni amore che si
esprime nell'umana sofferenza. In questa dimensione - nella
dimensione dell'amore - la redenzione già compiuta fino in fondo, si
compie, in un certo senso, costantemente. Cristo ha operato la redenzione
completamente e sino alla fine; al tempo stesso, però, non l'ha chiusa: in
questa sofferenza redentiva, mediante la quale si è operata la redenzione del
mondo, Cristo si è aperto sin dall'inizio, e costantemente si apre, ad ogni
umana sofferenza. Sì, sembra far parte dell'essenza stessa della
sofferenza redentiva di Cristo il fatto che essa richieda di essere
incessantemente completata. In questo modo, con una tale apertura ad ogni umana
sofferenza, Cristo ha operato con la propria sofferenza la redenzione del
mondo.”